martedì 22 novembre 2005

"Non ci sono solo le arance" di Jeanette Winterson



Trama: adottata da una famiglia molto religiosa della provincia inglese, Jeanette cresce imparando cos’è la vita sulle sacre scritture. Quando però inizia a frequentare una scuola pubblica si rende conto che tutto quello che le è stato inculcato dalla madre bigotta ha poco riscontro nella “realtà”, soprattutto quando la sua relazione sentimentale con una coetanea mette scompiglio nella piccolo paesino in cui vive.

Romanzo di esordio della Winterson, con il quale è stata insignita del prestigioso Whitebread Award, narra in maniera autobiografica la sua infanzia fino all’età adulta quando lei stessa decide di dichiarare apertamente la sua omosessualità alla comunità in cui è cresciuta.

Anche se il romanzo in sé è molto valido, quello che non mi è piaciuto è lo stile di scrittura della Winterson che tutti decantano in maniera entusiastica.

Nel corso della narrazione l’autrice ha spesso il vizio fastidioso di ripetere fatti o curiosità già menzionati; e durante la lettura del libro non ci vengono date informazioni sufficienti per capire di quale periodo della sua vita l’autrice stia parlando.

Quello che trae in inganno è anche la mancanza d’evoluzione del personaggio: non ho notato la crescita, il passaggio dall’infanzia all’età adulta della protagonista; la scrittura è piatta, l’autrice per parlare di sé bambina utilizza lo stesso linguaggio per parlare di sé adulta.

I personaggi che rappresentano la Chiesa Cattolica (il prete, la madre e tutta la comunità locale), tentano in tutti modi di ostacolare Jeanette, rea di aver peccato. Ma la parte del cattivo è talmente ridicola e caricaturale, anche quella del prete, che stento a credere che ci possano essere dei ferventi cattolici di questo tipo (che tra l’altro sembrano finti).

Non capisco perché dopo aver speso fiumi di parole per la “riabilitazione” delle lesbiche, Jeanette si rassegni a vivere con sua madre, nonostante quest’ultima si fosse resa conto che “in fondo non ci sono solo le arance” (metafora che indica il voler ghettizzare le inclinazioni sessuali in circoli ben predefiniti e dai quali non c’è scampo, in questo caso l’arancia simboleggia il giusto percorso che ogni uomo deve fare per rimanere sulla retta via); la madre quindi accettando in un certo senso la decisione della figlia, dovrebbe dare la spinta decisiva a Jeanette per iniziare una nuova vita, senza il dubbio assillante di stare sbagliando, Jeanette però decide di ristabilirsi nel suo paese natio e di continuare a fantasticare sul modo più adatto per chiudere con il passato e la sua famiglia.

Ma al di là di queste mie critiche, sicuramente questo libro servirà a chi ha le idee confuse sul rapporto tra religione e omosessualità perché il messaggio è molto chiaro e rimarrà impresso nel lettore, e non sarebbe brutto veder inserito questo romanzo fra le letture scolastiche.

5/10 per lo stile di scrittura

7/10 per la storia

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