martedì 4 aprile 2006

"Demetrio Pianelli" di Emilio De Marchi | "America primo amore" di Mario Soldati

Pubblicato a puntate per la prima volta nel 1890 su “L’Italia”, questo feuilleton segue per molti aspetti lo stile di Charles Dickens: ad ogni personaggio è collegato un nome adeguato che richiama le sue caratteristiche fisiche o caratteriali più predominanti; la sottile ironia a volte cinica e fredda; il sensazionalismo drammatico. Elementi, perciò, tipici dei romanzi d’appendice di gran voga in quegli anni.
Ma a dispetto della letteratura dickensiana, che leggo avidamente da molto tempo (e che, ahimè, prima o poi finirà…), il “Demetrio Pianelli” è troppo incentrato sul patetico, il melodrammatico; troppe le scene in cui si nota una costruzione “a tavolino” del testo, mirata a far cadere la lacrimuccia al lettore.
Questa spiacevole caratteristica la si ritrova soprattutto nei personaggi: Arabella simbolo del candore virginale; il cagnetto di famiglia sempre lì ad uggiolare, ma che tanto non se lo fila nessuno se non verso la fine; il povero Demetrio votato alla fatica e ad una vita quasi monastica; la bella vedova un po’ scema che, sopraffatta dagli eventi, “rinsavisce”; ecc…
Non per questo però è un’opera “scarsa”, perché vi si trovano una narrazione scorrevole, che non risente degli anni passati da quel 1890; un’indagine psicologica dei personaggi molto approfondita, in cui si può notare la crescita interiore degli stessi nel corso degli accadimenti; una trama godibile e coinvolgente e la già citata ironia che accompagna la narrazione fino alle ultime pagine, persino nei momenti più drammatici.
Inoltre il romanzo è ambientato a Milano, quindi un motivo in più per scoprire direttamente com’era la città sul finire dell’Ottocento.
Un’altra scusa per leggere questo libro è l’abominevole uso di metafore: ce ne sono di tutti i tipi, divertenti, sagaci, mistico-religiose, e chi più ne ha più ne metta; è davvero un aspetto singolare e interessante, quest‘ultimo, che mi ha colpito molto e che valutato singolarmente può valere da solo la lettura del libro.

8/10

P. S.: consigliato a chi ormai odiaI promessi sposi”.


Ho faticato non poco a superare le prime quaranta pagine, ma ero già al secondo tentativo e non potevo più rimandare, dato che il libro è materia d’esame di un corso che ho frequentato all’Università.
Il romanzo è suddiviso in parti, “Arrivi” è la più micidiale in tutti i sensi (leggi: soporifera); ma dalla seconda parte, la narrazione diviene più coinvolgente, grazie anche all’alternarsi di episodi semi-autobiografici - alcuni divertenti - a brani in cui le elucubrazioni forbite di Soldati prendono mortalmente il sopravvento.
Curioso come la solitudine dell’io narrante trapeli spesso dal racconto, nonostante le svariate relazioni sentimental-sessuali che il protagonista intrattiene con fanciulle del posto durante il suo soggiorno americano, e durane le quali sfugge anche un’allusione ad un interesse per il sesso maschile.
Sebbene il romanzo contenga alcuni racconti davvero interessanti (come “Professori americani”), mi azzardo a dire che tuttavia Soldati a mio parere è un autore sopravvalutato; non ho trovato in “America primo amore”, ad eccezione di un paio di racconti, nulla che possa far pensare di avere fra le mani uno dei capolavori della letteratura novecentesca.

5/10

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