domenica 30 aprile 2006

"Senza destino" di Lajos Koltai (2005) | "Texas" di Fausto Paravidino (2005)


Come si fa a dire se un film di questo genere è bello o brutto? Come si fa a giudicare la verità raccontata?
Non saprei proprio come commentare questo film, che sicuramente vale la pena di essere visto e di figurare insieme a tutte le altre opere analoghe (“Schindler’s List”, “La vita è bella”, “Il pianista”, ecc…).
La macchina da presa rigurgita immagini talmente crude e vere che ammetto, in non pochi casi, di aver volontariamente voltato la testa per non vedere; i colori si fanno sempre più lievi fino a scomparire e a ridursi in un gelido bianco e nero con l’allontanarsi della speranza nel protagonista; spesso le parole non escono dalla bocca dei personaggi, tanta è la disperazione raffigurata sulla pellicola a bastare da sé senza spiegazioni; la colonna sonora composta da Ennio Morricone ricorda troppo spesso le melodie dei western di Sergio Leone, ma si può anche chiudere un occhio, perché è pur sempre MORRICONE.
Il finale forse è un po’ troppo affrettato, sarebbe stato interessante seguire non solo il ritorno in patria del protagonista, ma anche la riappropriazione della sua libertà contro le ostilità di chi cerca di cancellare le atrocità accadute.
Resta comunque un finale duro dal quale emerge la certezza di non aver ancora finito di soffrire, nonostante si sia varcata la soglia di casa dopo aver sopportato l’inverosimile.

7½/10


Con non poche perplessità, nel seguire le vicende di un gruppo di ragazzi piemontesi, la storia parte dalla fine per ritornare in modo circolare alla stessa sequenza iniziale dopo un lungo flash-back, attraverso il quale si ricompone tutta la storia.
A causa di questa struttura al rovescio, inizialmente si fatica un po’ a seguire tutti gli episodi, ma una volta capito il ritmo si va via lisci come l’olio.
Nel raccontare la vita di questi ragazzi, prendendo spunto solo da alcuni stralci della loro vita (il sabato sera in compagnia, al lavoro, il rientro a casa dai genitori, ecc…), emerge il disagio in cui inconsciamente ognuno di loro vive in un non ben identificato paesino piemontese, qui paragonato al Texas per la sconfinata desolazione del territorio.
Spesso mi sono identificata con i personaggi, ritrovando sullo schermo una parte del periodo in bilico tra i venti e i trent’anni che sto affrontando adesso, però il regista in alcuni casi carica un po’ troppo di drammaticità e cinismo la vicenda: poco oltre la metà del film ogni personaggio rivela la sua indole menefreghista e il finale è la summa di tutti questi sentimenti, dove si sprecano risse, ubriacature, violenze sessuali, tentati omicidi e crisi isteriche.
L’amicizia ne esce alquanto malconcia, e ho come l’impressione che nemmeno il regista ci credi molto in questo sentimento fraterno, dato che ogni personaggio, chi più chi meno, contribuisce a distruggere il gruppo che si era creato ai tempi della scuola.
“Ognuno pensa per sé”, sembra dire Paravidino, anche se gli ultimi secondi del finale gettano un po’ di serenità sul futuro dei ragazzi protagonisti.
Curioso come il passato da regista teatrale di Paravidino, emerga da sequenze in cui i personaggi sembrano recitare, più che davanti ad una macchina da presa, sul palco di un teatro, effetto accentuato dalla costruzione delle scene come dei piani sequenza.
Si fa anche sentire però un’impronta giovanile sulla struttura del film, come la presentazione dei personaggi (in cui ci scappa anche una citazione alla storica copertina che accompagna il volume “Antologia di Spoon River”) veloce e comica, e la voce fuori campo di uno dei protagonisti che sottolinea l’ottica “immatura” attraverso la quale viene vista tutta la vicenda.
Sicuramente è un buon film, visto anche che il regista è al suo esordio cinematografico, ma dissento per l’ultima volta sull’idea che dei giovani traspare da questo film: sembra che non sappiamo divertirci se non grazie all’alcol, la droga e ai gesti estremi.
E Paravidino ha solo trent’anni.
Mi aspettavo una visione del genere da chi la gioventù l’ha già passata da un pezzo.

7½/10

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