domenica 17 settembre 2006

"Va' dove ti porta il cuore" di Susanna Tamaro | "La cittadella" di Archibald Joseph Cronin

img105/9529/portacuoreif1.jpg

Da tempo il libro della Tamaro vegetava nel punto più basso e polveroso della libreria, e qualche giorno fa, così tanto per fare, mi è venuta voglia di dargli un’occhiata; ricordavo il film diretto da Cristina Comencini, mi era piaciuto e pensavo di ritrovare lo stesso piacere nel libro originale.
La storia della nonnina che scrive alla nipote lontana, è però molto più profonda e toccante sul grande schermo, le 187 pagine da leggere mi hanno provocato solo una noia altalenante.
Sicuramente le parti in cui nonna Olga ritorna col pensiero alla giovinezza e ai primi anni di matrimonio sono molto belle, ma lo stile in cui sono scritte ricorda troppo i libri sentimentali alla Liala senza neanche troppa introspezione psicologica, che era proprio lì che doveva andare, e che invece la Tamaro usa in maniera spropositata e ammorbante nei brani in cui ritorna più volte sugli stessi argomenti (che a metà libro son belli che esauriti), vedi: il rapporto con la figlia, il rapporto con la nipote, il rapporto col marito e con l’amante.
In tutti questi rapporti la costante è sempre la stessa: la pazzia nelle più svariate forme, sopraggiunta con la vecchiaia oppure presente dalla nascita, dovuta a uno stato di depressione o affibbiata dai compaesani pettegoli.
Ma perché inserire questo stato di malessere in una storia già abbastanza carica di concetti e analisi? La malattia non fa altro che appesantire le già lunghe e replicate analisi psicologiche, che sono l’altra costante del libro insieme alle tare mentali.
Così, al termine della lettura, lo sbandierato messaggio “va’ dove ti porta il cuore” mi è sembrato solo il culmine della mielosità, e l’intero libro solo un prodotto sopravvalutato e scritto in maniera artificiosa per nascondere le carenze che l’autrice ha, e mi riferisco agli scarsi argomenti trattati in quasi 200 pagine e le continue ripetizioni.
Consiglio la visione del film, molto più coinvolgente e ben diretto [da notare che la trama è leggermente modificata e con un finale che, a differenza di quello originale, non lascia la storia sospesa verso un epilogo lontano].

4/10

img237/1306/lacittadellaio0.jpg

I libri di Cronin sono un esempio per affrontare la vita di tutti i giorni, leggendoli si entra in una quotidianità fatta di sacrifici e dolore, rischiarata però da una (purtroppo) fuggevole gioia; dalle storie nate dalla penna di questo autore, si possono trarre molti consigli, soprattutto grazie ad una analisi molto genuina senza troppa filosofia.
Ne “La cittadella”, il Dottor Manson è alle prese con argomenti che, nel 1937, denunciavano con sorpresa la malasanità, il dio denaro, l’arrivismo e la cattiveria umana; oggi tutto questo è ancora attuale ed è brutto ammetterlo, almeno però si spera ci siano ancora in circolazione degli uomini con la stessa forza d’animo ed entusiasmo del Dottor Manson, sperando così di finire nelle giuste mani.
Quello che mi ha fatto da subito innamorare dei libri di Cronin è tutto quel miscuglio di sentimenti che spingono i personaggi non corrotti verso la costruzione di una società più umana, dove però il sentimentalismo è assente e non c’è traccia di moralismi.
Anche nel raccontare avvenimenti carichi di tragicità e disgrazia, Cronin non dà l’impressione di voler indurre il lettore verso il pietismo e la lacrima facile; tutto viene raccontato con occhio critico, quasi con distacco, e nelle analisi psicologiche quello che traspare è solo un osservazione schietta e davvero realistica dei sentimenti del Dottor Manson e di tutti gli altri personaggi che lo affiancano, e pensi che “così va il mondo”, non c’è niente di forzato.
Leggete ad esempio il capitolo in cui Manson salva un neonato che si pensava nato morto, oppure quello in cui è costretto ad amputare il braccio di un minatore rimasto schiacciato sotto un cumulo di macerie; mentre li leggi le pagine scorrono senza che tu abbia il pericoloso sospetto di trovarti di fronte a un pietismo affettato, ma le emozioni sono talmente forti e vive che io (ebbene sì…) ho pianto come una fontana; Cronin però non ti induce a farlo, ti mostra solamente la vita com’è.
Entrando nel mondo de “La cittadella” patteggi per il protagonista e per i suoi amici che hanno (secondo la morale comune) l’insano proposito di cambiare la società e salvarla dalle ingiustizie, perché sono veri e li senti vicini; quando però, a metà libro, Manson vende la propria anima a quella società corrotta e dominata dal denaro, ne rimani deluso; però Manson è un uomo come tanti altri e capita che i propri ideali, come a chiunque, scappino offuscati da altri più materiali.
Un altro sentimento importante è l’amore, in questo romanzo è rappresentato dal legame che unisce Manson a sua moglie Cristina, un’unione che dà vita alle pagine, secondo me, più intense e (perché no…) erotiche che ho fin qui lette, narrate con una semplicità strabiliante, senza malizia, e quello che ne emerge è la vera passione e il vero amore eterno.
Ma, nonostante l’amore, non sempre i finali dei libri di Cronin vengono rischiarati da un happy-ending, perché ci sarà sempre qualcosa a cui i protagonisti dovranno rinunciare, esattamente come nella vita reale, la quale ti riserva svariate soluzioni; queste però, l’ho imparato leggendo i libri di Cronin, non sono dovute dal destino, ma da come l’uomo agisce e conduce la propria esistenza.
Tutto questo è “La cittadella”, Archibad Joseph Cronin e i suoi romanzi.

9½/10

Nessun commento:

Posta un commento