domenica 30 dicembre 2007

Accattatevillo!

Prima di cominciare vi auguro BUON ANNO NUOVO!!!

Ora vi lascio con le ultime recenZioni libresche che mancavano all’appello di questo fine 2007.

P.S.: oggi pomeriggio sono andata al cineforum a vedere “Ratatouille” e non avendo fatto i conti con: che era domenica pomeriggio, che è festa, che fuori c’erano 2 gradi sotto zero, che quando fa freddo la gente va al centro commerciale o al cinema, che il film è d’animazione, quindi... c’erano un fottio di bambini urlanti e scartanti per due ore consecutive carte di patatine-caramelle-cioccolatini *scric scrach scric scrach scric scrach*. -__-

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Io sono leggenda

Richard Matheson

Collezione immaginario dark, Fanucci, 12.50 €

Ambientato in un immaginifico 1976, in cui una strana epidemia ha mutato tutti gli esseri umani in vampiri, Robert Neville unico immune al virus vive da eremita in quello che fino a pochi mesi prima era il suo piccolo paese fatto di abitudini, una famiglia, un lavoro...

Seguiamo Robert destreggiarsi in quelle che ormai, in quella catastrofica situazione, sono le sue nuove consuetudini giornaliere che si trasformano ogni notte in isolamento totale nella sua casa, rifugio dagli attacchi dei vampiri che - si sa - escono solo al calar del sole.

L’elemento orrorifico non è quindi di quelli nuovi, oltretutto per un romanzo pubblicato nel 1954 quando di questo genere anche il cinema era zeppo; tuttavia la particolarità di questo romanzo sta nel procedere per ellissi nel raccontare l’antefatto della vicenda e nel far scoprire al lettore con brevi e secche informazioni quale e come si svolge l’esistenza dell’ultimo uomo sulla terra.

Approfondita indagine psicologica e suspense per il “non detto” rendono il romanzo molto scorrevole, avvincente e, se vogliamo, molto più fantasioso di un classico libro di fantascienza in cui i diversi sono costantemente il fulcro della storia.

Però, ripensandoci, anche in questo caso la vicenda può essere vista ribaltata, dato che è Robert ad essere il mostro in un mondo popolato dall’orripilante normalità che prevale...

8/10

P. s.: questo libro fa parte di quelli scelti per la “Book to movie challenge”. Clicca.

E se si considera che andavano letti “almeno” tre volumi, allora... ho vinto! Però sto ancora leggendo contemporaneamente gli ultimi due romanzi messi in lista. Ho comunque tempo fino al 1° gennaio (scadenza ufficiale della sfida). Ma figuriamoci se riuscirò a finirli!

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Anna Karènina

Lev N. Tolstoj

Biblioteca economica Newton, Newton & Compton, 7 € [in realtà io ho letto l’edizione in due vol. edita dal quotidiano La Stampa]

Rimando ancora una volta il commento a questo complesso romanzo, dato che andrebbe tassativamente letto almeno due volte prima che al lettore venga concesso di grazia il diritto insindacabile di parlarne liberamente (eh eh eh).

A parte gli scherzi, è davvero un libro elaborato e così vicino alla realtà che fatico davvero a dare un parere di senso compiuto, e soprattutto che possa interessare a terzi.

Avevo già avuto modo di dire come mi sia rispecchiata sorprendentemente nella visione del matrimonio e del rapporto di coppia che Tolstoj ha e che ha ben descritto in “Sonata a Kreutzer”; in “Anna Karènina” il discorso è ancora più complicato e la ripresa e ri-analisi della storia non farebbe che migliorare il mio comprendonio su una vicenda in cui è ancora una volta la realtà, quella vera, ad essere la protagonista.

Termino dicendo però che la mia prima impressione arrivata alla fine delle intricate e cerebrali 822 pagine (tra l’altro scritte a passo 2 - andavano bene per le pulci...) è stata: “bellissimo!”.

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Estremi rimedi

Thomas Hardy

Le porte, Fazi, 19.63 € [pure i 3 centesimi... tzè!]

[attenzione: a leggere qui sotto si fa sera]

Dopo aver letto diversi romanzi di Thomas Hardy, compreso l’ultimo e più pessimista che esista dal titolo “Jude l’oscuro”, posso confermare di essermi fatta un’idea abbastanza definitiva su quella che è la visione esistenziale dello scrittore.

Analizzando in questo caso il romanzo “Desperate remedies” [bacchetterei il traduttore: desperate non vuol dire estremo, ma letteralmente disperato, che butta altra angoscia e più significato sulla storia - ma ci vuole così tanto sforzo per attenersi ai titoli originali???], dicevamo, in questo romanzo che ha dato il via alla produzione letteraria di Hardy si possono notare come i temi a lui usuali siano già ampiamente affrontati nel corso di questo esordio.

Cytherea Graye, la giovane protagonista del romanzo, è vittima del caso che si abbatte funesto sulla sua famiglia: il padre muore, e lei è costretta col fratello maggiore Owen a provvedere ai debiti lasciati dal genitore, a cercarsi una nuova casa e a far fronte alle malelingue di paese.

Contrariamente a quello che capita di solito alle eroine di Hardy, cioè che sono praticamente tutte “emancipate”, Cytherea durante i primi capitoli vive mantenuta dal fratello; è però per lei una condizione molto dura da sopportare e si angoscia per non poter incentivare le esigue finanze famigliari.

Preciso che il termine emancipata è da prendere in senso lato dato che con esso intendo, esclusivamente riguardo ai romanzi di Hardy (perché emancipata lo si collega per ovvi motivi a una indipendenza ben diversa da quella intesa da questo scrittore!), il comportarsi e quindi l’essere a tutti gli effetti le capofamiglia, portando avanti i compiti più importanti e sacrificandosi per dare giovamento ai propri famigliari.

Il fratello intanto lavora come apprendista architetto e non sembra essere - a mio parere - molto preoccupato per la nuova vita che lui e la sorella devono affrontare... anzi, presenta baldanzoso a Cytherea un suo collega, tale Edward Springrove: un trentenne che cerca letteralmente la compagnia coniugale di giovani (e stupidine, aggiungo io) donne, carine, delicate e remissive. Praticamente delle pecore.

Cytherea se ne invaghisce immediatamente e dopo svariati appuntamenti gli concede apertamente il suo cuore, salvo poi scoprire - quando un casto bacio ha ormai mandato in tilt l’ingenua ragazza - che lui nasconde qualcosa...

Purtroppo la giovane è costretta, sul più bello, ad abbandonare i tentativi angosciosi di sapere qualcosa in più sull’innamorato, e a partire alla volta della sua nuova vita come cameriera personale di una donna sola e benestante che vive con l’anziano padre.

Questo è solo il, diciamo così, “prologo” della vicenda. Intricata al massimo, torbida e con l’aggiunta di un altro paio di personaggi fondamentali, la trama è ben condotta e avvincente - salvo qualche descrizione psicologica troppo puntigliosa...

Cytherea successivamente in casa della padrona ha modo di osservare meglio la donna e così anche il narratore onnisciente, che può “sparare a zero” su questa Miss Aldclyffe.

La donna dà subito l’impressione, nel modo in cui è descritta da quest’ultimo e da come gli altri dipendenti ne parlano, di essere contraria all’introduzione in casa di un uomo sottoforma di marito, prediligendo ampiamente il sesso debole.

Questo potrebbe causare una serie di fraintendimenti... che infatti avvengono: durante la prima notte che C. passa in casa della signora, viene apertamente “assalita” in maniera morbosa dalla donna che cerca nella giovane un contatto fisico anche se molto blando, che sfocia in un paio di baci e nell’orripilante disgusto della Miss nel momento in cui scopre che Cytherea aveva già baciato un uomo.

Un episodio che nel corso del romanzo non trova però - a quanto ho potuto notare... - una spiegazione, dato che non avrà seguito se non nelle dicerie degli altri manovali e camerieri che lavorano nella tenuta, e che credono che tra le due ci sia una “certa” intesa dato che passano molto tempo insieme chiuse nelle stanze personali della donna. Ma niente di più sbagliato.

Quindi questo lato del personaggio rimane per me un’incognita.

Forse, essendo il primo romanzo in assoluto di Hardy, questo elemento così inserito getta già le basi per quello che sarà in futuro la caratteristica ricorrente delle successive storie: le figure femminili di Hardy non amano molto il sesso, o comunque un contatto fisico di tipo carnale, maschio. Le relazioni che hanno con il sesso opposto sono quasi sempre o imposte, o condotte in maniera fin troppo sentimentale, in cui raramente c’è posto per l’unione fisica.


L’ultimo personaggio chiave è quello di Mr Manston: un uomo anch’egli sulla trentina che, manco a farlo apposta, nasconde anche lui qualcosa.

Miss Aldclyffe spinge Cytherea verso Mr Manston e pungolandoli uno nelle braccia dell’altro, facendo leva anche sul segreto del fantomatico innamorato Edward (è fidanzato, ma tanto si sapeva!), riesce a convincere Cytherea a guardare con occhi diversi l’uomo, che è anche poi alquanto fascinoso e sornione.

Introdurre tutti i personaggi fondamentali della storia mi è servito per far notare come anche in questo romanzo d’esordio gli uomini di Hardy siano i più brutti che capitino ai piedi delle protagoniste.

Dopo rocamboleschi avvenimenti in cui ci scappa anche il morto, Owen si rivelerà arrivista, avaro e troppo materialista, fino a spingere la sorella a sposare Mr Manston, facendole sempre notare a quanto ammonta la rendita dell’uomo rispetto alla povertà di Edward poi riapparso nella vita della ragazza dopo aver annullato il precedente fidanzamento.

Mr Manston dal canto suo brama soltanto di possedere Cytherea, di farla sua (e si è capito in che tristissimo senso...).

Edward Springrove invece alterna le sue caratteristiche tra positive e negative. Non c’è dubbio che sia innamorato di Cytherea, ma non scordiamoci che inizialmente si è avvicinato alla ragazza in maniera subdola non palesando la sua condizione di uomo impegnato sentimentalmente; tuttavia però aiuterà i Graye nel riuscire a districarsi da una tragica situazione che complica ancora di più la trama e guarda caso anche per colpa dello stesso Owen Graye.

Cytherea e Miss Aldclyffe, insieme a una terza donna di cui non parlerò pena il rivelare praticamente tutta la trama, rappresentano distintamente tre modi di essere del lato femminile che saranno poi, nei romanzi successivi, racchiusi in un’unica persona cioè la protagonista di turno.

Cytherea è troppo mite, troppo debole per imporsi ma lo fa pur sempre con grande forza d’animo e spirito di sacrificio.

Miss Aldclyffe è praticamente l’opposto ma si scoprirà poi che, in fin dei conti, l’odio per il maschio è tutto relativo... anche se però quell’episodio saffico a cui ho accennato non riesco proprio a capire a cosa serva (mah!).

La terza donna, di cui non parlerò, è disgraziata quanto Cytherea e, cosa che la distingue dalla prima, è ancora più debole di lei in quanto si lascerà manipolare in maniera più catastrofica da uno dei personaggi maschili.

Sottomissione, debolezza e grande temperamento nascosto sono le caratteristiche che poi avranno tutte le altre donne di Hardy.

Insomma, le donne nel libro non sono messe bene! Anzi sembrano proprio essere le pecore nere della situazione.

Tuttavia tutti, uomini compresi, saranno costretti ad attuare in egual misura, nessuno escluso o risarcito, dei disperati rimedi (quelli del titolo) per migliorare o scongiurare delle disgrazie cadute sui loro destini.

In questo modo il romanzo non si conclude a favore di nessuno dei due sessi. Le donne sono sfortunate quanto gli uomini, e gli uomini, anche se inizialmente sembravano essere i preferiti di Hardy, alla fine patiranno quanto le protagoniste e, a conti fatti, sono quelli che ne escono più sconfitti.

Oltre a questa interminabile (inconcludente?) mia analisi, in “Desperate remedies” ci sono diversi e concatenati colpi di scena che porteranno a un finale che lieto fine non è (a mio parere), che fanno del libro un po’ romanzo gotico, un po’ romanzo giallo e un po’ romanzo sentimentale con dichiarazioni d’amore e legami infranti. Evidentemente Hardy essendo alle prime armi doveva ancora affinare la tecnica per divenire poi il drammaturgo impegnato in temi e rivendicazioni sociali che fu.

Confermo comunque la mia ammirazione per le storie hardesche (si dice così?), che già da questo esordio potevano far prevedere la grandezza e la complessità che sarebbero arrivate poi con l’esperienza.

9/10

venerdì 21 dicembre 2007

Cof cof

Ho preso l’influenza. -_-‘

Vi lascio con la recenZione di “Chiedi alla polvere”, quello stupendissimo (pfui!) film diretto nel 2006 da Robert Towne.

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Vedere un film tratto da un romanzo che tanto ci è piaciuto è sempre un’incognita, e in questo caso mi sono trovata di fronte allo scempio del libro originale.

Andando con ordine, ci si accorge subito che il personaggio di Arturo Bandini trasposto in pellicola perde tutto ciò che di attrattivo e particolare aveva nel romanzo: il suo modo di essere così contraddittorio, indeciso e allo stesso tempo testardo, sarcastico e pungente - un comportamento che quindi ha bisogno di un grande approfondimento psicologico - nel film si riduce a qualche sporadico episodio che mostra Arturo come un uomo letteralmente sfigato, ingenuo, campagnolo, che fa battute ridicole e stupide (ecco dove sono andati a finire il sarcasmo e l’ironia acuta...!), ma che a metà pellicola fa sfoggio della sua verve di latin lover portandosi a letto Camilla. Particolare quanto mai inventato dato che l’insoddisfazione di Arturo si traduce nella sua incapacità di avere rapporti con le donne...

Nella restante ora e mezza di film si assiste all’inserimento di scene inventate e all’eliminazione di altre (originali) che avrebbero però potuto migliorare un tantino la bruttezza della sceneggiatura altamente rimaneggiata e rimanere aggrappati quanto basta al vero significato del romanzo.

Camilla Lopez può sembrare più vicina alla Camilla di John Fante, sfrontata tra i tavolini della locanda in cui lavora come cameriera, arrogante anche al di fuori, ma poi in quell’ora e mezza già citata il suo ruolo si ribalta completamente mostrando una donna che quasi-quasi si innamora seriamente di Arturo e che diventa oggetto di una sequenza lunghissima e inventatissima in cui addirittura cerca di omologarsi ai cittadini statunitensi studiando per ottenere la cittadinanza americana.

Una donna come Camilla che vuole davvero far parte della nuova America?!? No. Affatto.

Camilla sa già in partenza che non potrà mai lasciare i bassifondi di Los Angeles, sposarsi con un vero americano e morire ricca e felice. Nel libro scappa, da sola, contando solo sulle sue forze - così come ci è presentata nelle prime pagine del libro - e sparisce dalla vita di Arturo che non la rivedrà mai più.

Altro che Camilla che spira di tisi tra le braccia di Bandini e lui che la seppellisce nel deserto dietro casa...

Chi ha amato il romanzo non sarà riuscito come me ad apprezzare minimamente il film; chi invece il libro non l’ha letto si sarà trovato di fronte a una scontatissima e struggente storia d’amore, dalla recitazione zoppicante e da scene di sesso focose.

Non mi stupirei se poi la seconda tipologia di spettatore decidesse un giorno di avvicinarsi al “Chiedi alla polvere” di John Fante e non lo finirebbe neanche di leggere: non si riconosce minimamente quello che ha scritto Fante in quello che ha diretto Towne al cinema.

Perché un libro così non ha bisogno di una trasposizione cinematografica. Non ne ha bisogno perché è impossibile da trasferire in quel formato. E’ già perfetto così, con le sue incertezze, il finale lasciato a metà, la sofferenza che prevale sulla felicità e i personaggi persi in un limbo indefinibile.

Il cinema, in questo caso, non riesce proprio a rendere giustizia allo stile di Fante - che va letto, mica “visto” in carne e ossa.

n. c.

..................

Vi metto anche un paio di foto della Zoe, che nelle ultime settimane è cresciuta a vista d’occhio e ha messo su anche un po’ di ciccetta. ^^

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[qui stava pensando che mettersi in posa è molto divertente, ma...]

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[... che assalire la sottoscritta lo è molto di più! :-P]

Ora torno a svenire sotto al piumone con in cima le mie gatte che mi aspettano.

P.S.: oggi è l’ultimo giorno per la “Creepy autumn challenge”, in cui avevo scelto di leggere “It” di Stephen King. Ecco, mi dichiaro sconfitta.

mercoledì 12 dicembre 2007

Lavori in corso

Gli aggiornamenti del blog si diradano sempre di più, così come i commenti... dove siete finiti tutti?! Qui sembra di essere in una landa desolata, e a me di parlare da sola.

Ma passiamo oltre, va’.

Ho accantonato momentaneamente “It” almeno fino al mese prossimo; in questo modo spero di riuscire a superare le altre tre sfide in corso, ché ho ancora una caterva di volumi scelti da leggere.

Quindi sto seguendo soltanto le vicende di Cytherea, nata dalla penna di Thomas Hardy, e mi chiedo continuamente come noi donne possiamo essere a volte così ingenue e troppo sognatrici...

Chi invece era sognatore in maniera positiva ed è diventato poi in versione filmica un pirla è Arturo Bandini, alter ego di John Fante. Lunedì scorso ho visto il film tratto da “Chiedi alla polvere” che è a dir poco osceno: un miscuglio di rivendicazioni politiche, discorsi a vanvera, episodi inventati di sana pianta e recitazione ai limiti del ridicolo.

La bellezza di quel libro e, soprattutto, del personaggio di Arturo Bandini è sminuita in maniera così catastrofica da far passare tutto l’insieme per una storia d’amore qualunque, in cui lui è uno stupidotto di campagna e lei una donna frivola che si fa le canne.

Ma grazie a Dio amo leggere.

P.s.: il template è ancora in fase di assestamento, però siccome l’anno è quasi finito, non mi conviene re-inserire per ogni titolo di film/libro i link, vero? Poi il 1° gennaio dovrò cancellare tutto, tanto vale lasciarlo così. Scarno.

giovedì 29 novembre 2007

Nuova sfida libresca

Tra pochi giorni inizierà una nuova readers challenge ideata da Phoebes e collegata al sito di Anobii Readers Challenge: La sfida della seconda possibilità (1/12/2007 - 29/02/2008). Clicca per saperne di più.

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Ecco cosa ho scelto:

I prima possibilità: l’autore

1) La passione secondo Thérèse - Daniel Pennac

2) Signor Malaussène - Daniel Pennac

Di Pennac ho letto i primi tre volumi della saga della famiglia Malaussène, odiandoli tutti indistintamente. Siccome la serie si conclude con i due volumi segnati qui sopra, e dato che sono una a cui piace soffrire (librescamente parlando...), quest’estate ho comprato anche gli ultimi due titoli, tanto per avere la serie completa (eh, le manie dei bibliofili!), e visto che sono lì da qualche mese a vegetare, beh... leggiamoli.

III possibilità: l’abbandono

1) Le memorie di Barry Lyndon - William M. Thackeray

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, io ho sempre apprezzato in maniera spropositata il film omonimo di Kubrick, mentre il libro non sono mai riuscita a finirlo neanche dopo numerose riletture.

Vedremo questa volta cosa riuscirò a combinare, forse non sarà mai stato il momento giusto.

Riserva per la III possibilità:

1) Fahrenheit 451 - Ray Bradbury

Curioso come non sia mai riuscita a superare la fine del terzo capitolo... ogni volta, arrivata lì, l’ho abbandonato.

Vari aggiornamenti: “It” ha praticamente bloccato tutte le sfide in corso, però sono arrivata a metà della seconda parte. Non male se si pensa che sono stata assalita da numerosi incubi durante il sonno e attacchi cardiaci durante la lettura concitata del romanzo...

Però devo riuscire a superare la sfida: cioè leggere l’intero libro entro il 21 dicembre.

“Estremi rimedi” di Hardy è bloccato nemmeno a metà, sempre per colpa di Penny Wise.

Quindi, per le prossime settimane non aspettavi recensioni di libri (ma poi, qualcuno se le aspetta???).

Finalmente è iniziato il cineforum (parrocchiale) e stasera andrò a vedere “Espiazione” di Wright tratto dall’omonimo romanzo di McEwan, già recensito a suo tempo.

Il cinema mi mancava da un po’, visto che l’ultimo film visto risale a quasi due mesi fa! E a casa, sul divano, non ho tempo per guardare dvd e simili: sono concentrata sulle ultime puntate di “Lost” e su “Dexter” (entrambi trasmessi da Sky), “Una mamma per amica” e altra fuffa che vedo ogni tanto.

A proposito... [spoiler] ma chi è/cos’è secondo voi JACOB??? E loro, sono davvero tutti morti???

Sul fronte manga/fumetti ultimamente non è uscita una mazza. Diciamolo così brutalmente. Spero sabato di trovare qualcosa in fumetteria.

La lettura di “Orpheus” procede speditamente, devo solo scrivere i commenti; mentre “Lone wolf & cub”, “Inu Yasha”, “Jonathan Steele”, “Clover”, “Lady Oscar” (quest’ultimo per i buchi nella collana - quei cinque numeri non sono ancora riuscita a trovarli), and many many more se ne stanno lì ad aspettare che li rilegga tutti daccapo.

domenica 18 novembre 2007

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Emma 7 (e ultimo): ma finisce davvero “Emma” con questo numero? appena ho voltato l’ultima pagina mi sono detta di “no”. Non può finire così una manga talmente bello che per tante lettrici è stata la rivelazione dell’anno; che tutte abbiamo elogiato; che tutte abbiamo analizzato nei suoi elementi perfetti inseriti in una narrazione a dir poco sublime, soprattutto se si tiene conto che è stata scritta da una mangaka e che è totalmente ambientata in Inghilterra un secolo fa.

Delusione è quello che ho provato nel constatare che Kaoru Mori non ha saputo purtroppo chiudere la storia in maniera degna, pur avendo precisato nelle pagine extra come si sia vista costretta ad aumentare le pagine del volume per farci stare dentro tutto quello che si era prefissata di inserire. Anche se tante sono le scene che avrei tagliato per dare più spazio ad alcuni passaggi toccati davvero con tanta superficialità.

Avevamo infatti lasciato Emma in una situazione precaria, rapita e segregata nella stiva di una nave diretta addirittura in America.

La poverina sbarcata sulle coste sconosciute si dispera fino a decidere, durante una bellissima sequenza, di tagliare per sempre i fili che la uniscono a William e a quello che ormai è il suo passato. Il taglio delle tavole, i dettagli, tutto sottolinea ancora come la Mori sia bravissima a condurre la storia.

Purtroppo però nelle pagine successive si arriva con troppa faciloneria, e troppe poche pagine utilizzate, alla risoluzione del rapimento di Emma e al suo ritrovamento: William, aiutato da Hakim, sbarca anch’esso in America e dopo una frazione di secondo avvista Emma tra la folla del porto. Uno svolgimento poco plausibile se si tiene conto che la traversata durava settimane e che, tra lo sbarco di Emma e l’arrivo di William, sarà passato come minimo un mese. Un mese. Cosa ha fatto lei in tutto quel tempo, mentre William la cercava? E oltre tutto, va sottolineato come lo sviluppo della scena faccia pensare che i tempi della partenza di Emma e del suo ricongiungimento con William siano pari a qualche striminzito giorno...

La fuga di Emma nel bosco vicino al porto e l’inseguimento di William fra le sterpaglie, deciso a riprendersi la sua amata con sé, passano in secondo piano di fronte a così scarsa capacità narrativa poco sopra descritta.

Il ricongiungimento definitivo dei due è alternato a diverse sottotrame, alcune delle quali più che superflue: l’arrivo di Monica, anticipato nel penultimo numero, vede lo sbandieramento di urla e strepiti suoi soliti. Se all’epoca della sua prima apparizione nella serie era risultata un po’ sopra le righe, ora le sceneggiate di Monica, saputo dell’annullamento del rapporto tra sua sorella e William, fanno quasi ridere per il fastidio e l’inutilità. Tra l’altro la ragazza è accompagnata dal marito bambascione davvero irritante - anche se dimostrazione di come nella gentry ci furono anche soggetti non del tutto degni di farne parte...

Anche il ritorno di Hakim non serve a nulla se non a sprecare pagine preziose. Il giovane infatti è oggetto di un lungo déjà vu: si comporta e dice cose già viste nei primi numeri della serie, una su tutte il tacchinaggio con bacia mano verso l’allibita Emma.

E ritornando a parlare di lei come non notare che la sua trasformazione definitiva, proprio nelle ultimissime pagine del numero, in donna di società è identica a quella avvenuta nel numero 5 (o giù di lì)? “E’ bellissima, no?”, chiede ancora la mamma di William mentre ammira Emma acconciata e vestita all’ultima moda per partecipare a un ballo tra ricchi. Tutto già visto anche qui. Se non che la prima volta Emma era solo una semplice chaperon, mentre ora, dopo lunghe pagine in cui vediamo la Signora Molder e la (futura) suocera insegnarle gli atteggiamenti giusti, il portamento e l’abbigliamento da prendere in società, ne prende parte come fidanzata ufficiale di William. Ma la sorpresa nel vederla senza occhiali e così vestita, non è la stessa provata la prima volta.

Almeno ci sono sequenze ancora belle, come quella già descritta in cui Emma è appena sbarcata in America; ma anche quella in cui William le regala un paio di occhiali nuovi e lei vede “davvero” per la prima volta il suo innamorato - metafora del cambiamento avvenuto in Emma e del suo passaggio dall’altra parte della società [però non ho capito se alla fine Emma si è fatta montare le lenti con gradazione più forte sulla montatura della signora Stoner, oppure se si è tenuta le lenti vecchie cambiando solo quella scheggiata, andando a casa cecata come prima... aiutatemi voi...]; e ancora, il bacio tra i due all’improvviso, con William trafelato che le chiede di sposarla nel cuore della notte.

Ma dopo queste belle pagine, come si conclude il rapporto sospeso tra William e Eleanor? E tra l’intera famiglia Jones e quella dei Campbell? William in questo numero si presenta effettivamente a casa Campbell, ma dopo aver tirato fuori i coglioni (oh, pardon...) e aver urlato in faccia tutto il suo odio al visconte, la Mori pensa che inserire una pagina in cui tutta l’alta società depenna dalle liste dei ricevimenti il nome “Jones”, sia sufficiente a far capire che quei Jones saranno costretti a cambiare stile di vita, cerchia di amici da frequentare, zone in cui presentarsi a passeggio, ecc... ma il ragionamento non è poi così diretto e quel che più lascia dubbiosi è il fatto che Eleanor e William non avranno mai in tutto il volume un dialogo. In questo modo pare che William sia, sì, un uomo tutto d’un pezzo - per essersi messo definitivamente contro tutti e per aver scelto Emma alla luce del sole - ma anche un po’ codardo per non aver mai incontrato Eleanor che era comunque davvero innamorata di lui.

Tuttavia non credo che se la Mori avesse avuto a disposizione altri quarantasette tankobon, avrebbe inserito una scena esplicativa di quel genere.

Eh sì, l’uomo perfetto non esiste; così come Hans alla fine viene accantonato con cinque, e dico cinque, sole vignette mentre pulisce l’argenteria. Come a dire che arrivati a questo punto della storia pure lui non serve a nulla...?

Come non serviva affatto rivelare l’esistenza di un fidanzato segreto di Grace, visto che poi come così velocemente lo si dice, così velocemente viene dimenticato; idem per la sorte della famiglia Molder, piantata in asso di punto in bianco dopo che la signora ha avuto un così grosso ruolo nella nuova vita di Emma.

Che poi troppo “nuova” non credo lo sarà mai, lei sembra quasi non essersi resa conto dell’evoluzione della sua persona e della sua esistenza, tant’è che pensa ancora a ramazzare per terra piuttosto che fare l’ospite in veste di fidanzata del signorino William in casa della suocera! E quando sarebbe stato interessante vedere il suo debutto ufficiale in società il manga si chiude con sorpresa.

E la copertina del volume, in cui si vedono Emma e William uno di fronte all’altro, mostra lei vestita ancora da... cameriera.

Il fatto è che talmente tante sono le cose lasciate in sospeso, e quella non ancora citata è la più micidiale: il rapimento di Emma - come la mettiamo per il colpevole e i suoi complici??? - che non riesco nemmeno a immaginarmi come possa, fantasticando di molto, proseguire la storia. C’era il matrimonio, il futuro dei due protagonisti insieme e quello di tutti i personaggi a loro vicini, e invece in questo modo tutto rimane fermo nel momento in cui Emma e William ci voltano le spalle ed escono di scena.

Il manga è stato davvero il più bello tra quelli già conclusi da me letti, e si sarebbe davvero meritato un voto complessivo altissimo. Purtroppo questo numero conclusivo ha storpiato le mie aspettative, pur confermando la bravura della Mori che anche qui c’è, ma evidenziando troppe e madornali sbavature.

Lo consiglio comunque, per la sua pregevole fattura, rendendomi però conto che il manga perfetto non ancora esiste.

voto complessivo: /10

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Anatolia Story 2-3: nel primo numero avevamo lasciato la giovane Yuri in fuga dai sicari Ittiti che la vogliono morta come sacrifiZio umano e, forse il male minore, oggetto di erotiche effusioni da parte del suo protettore Kail Mursili.

In questi successivi numeri la carica sessuale (dicesi, in parole povere, arrapamento) del sopraccitato uomo raggiunge picchi astrali, mentre Yuri rischia continuamente la vita e per colpa sua uno dei servi messi a sua disposizione, Tito, viene ucciso.

Ma l’ora di tornare in Giappone è arrivata, quindi saluti-e-baci a tutti, che si aspettano che Yuri se ne esca di scena. MA la compassionevole e amabile fanciulla decide di procrastinare il suo ritorno a casa pronunciando le seguenti parole: “Io... non posso tornare finché non avrò vendicato Tito!”. Cioè ammazzando a sua volta la regina Nakia e il suo adepto che ha commesso l’omicidio.

Se uccidere l’adepto sembra un atto più che fattibile, ammazzare la regina lo sembra molto di meno, cosa che mi fa quindi comprendere per quale motivo la serie si concluda solamente col numero 28.

Lunga è la strada ancora da percorrere per arrivare alla fine, e soprattutto per vedere una bella scena di sesso tra la teen-ager e il tenebroso Kail...

Note per questi due numeri: miglioramento della trama, che vede la presenza di scene truci e squartamenti alla “Berserk”; più azione - ora Yuri è stata addirittura scambiata per la dea della guerra (!!) - e meno chiacchiere a vanvera.

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Mayme Angel 1-2-3 (serie conclusa): dall’autrice di “Georgie” è uscito nel 1979 anche questo manga dalla breve durata che ha come protagonista la giovane Mayme, detta “Mayme Angel” dal padre defunto.

La ragazzina vive con le due sorelle e la madre in un punto imprecisato della valle sconfinata americana; la famigliola tira a campare felicemente quando all’improvviso riceve una lettera da lontani parenti che abitano nel Far West. Il tarlo del partire all’avventura si insinua in ognuna delle quattro donne, ma sarà solo cinque anni dopo, quando Mayme ha all’incirca quattordici anni, che insieme decideranno di partire verso il West. Ciascuna ha motivazioni diverse per lasciarsi tutto alle spalle, ma quella più risoluta (e scassa maroni) è proprio Mayme che cinque anni prima aveva visto partire il suo amato Johnny verso lo stesso Far West.

Dalla seconda metà del primo volume, al terzo e conclusivo seguiamo le rocambolesche peripezie di Mayme e della famiglia dal momento in cui si aggrega ad una carovana di pionieri diretta nel lontano ovest.

Per le quattro donne non sarà facile, tant’è che la madre e le due sorelle abbandoneranno il viaggio appena iniziato per motivi di salute (si mettono in mutua, praticamente...). Ma la giovane e caparbia Mayme non vuole abbandonare il sogno di rivedere e sposare il suo Johnny, prosegue quindi sola insieme però al suo patrigno e al fratellastro - ché la madre intanto si è pure risposata con uno dei pionieri vedovi con prole...

Tra attacchi di indiani, sparatorie, assalti della cavalleria americana che decide di scortare l’intera carovana, morti, feriti, rapimenti, tormente di neve, apparizione di un fantomatico Johnny sotto mentite spoglie di militare e comparsa del cugino del West Armand (quello della lettera) invischiato in intrighi inimmaginabili, Mayme è costretta a crescere e a farsi donna da sola dopo che sfighe varie la vedono sola e abbandonata sui monti che portano al di là nell’ovest.

Combattuta anche tra il sentimento che Armand e Johnny (poi palesatosi definitivamente nella sua vera identità - cosa che noi lettori avevamo già capito da un pezzo) provano per lei, Mayme è pure soggetta a dilemma amoroso, facendo più volte confusione nei tre volumi tra quale dei due ragazzi aveva scelto di sposare cinque anni prima: Johhny o Armand? Lei aveva detto “Johnny per tutta la vita!”, salvo poi, vistasi bidonata dal Johnny, accettare di vivere con Armand (tra l’altro sotto lo stesso tetto pur essendo solo fidanzati, nel 1800 poi!) una volta arrivati nel Far West e ricongiuntasi con l’intera famiglia allargata.

Ma siccome c’erano ancora due pagine disponibili, la Igarashi decide di cambiare nuovamente il finale inserendo uno scontatissimo lieto fine con un colpo di scena che vede il ritorno di Johnny e ovviamente il matrimonio tra i due. E Armand? Eh, Armand “s’attacca”.

Insomma, un manga di scarso valore, dilettantesco e superficiale, pieno di strafalcioni e improbabili rivolgimenti tramici. Adatto alle ragazzine e non a chi si aspettava di leggere un bel manga ambientato nell’Ottocento dei pionieri.

voto complessivo: 4/10

domenica 11 novembre 2007

Libri di noia e libri di punk

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In venticinque parole:

Lei disperata gli chiede “Ci rincontreremo?”, lui noncurante farfuglia. Poi sospirando convolano a nozze. Ma lui tragicamente muore... lei lo bramerà per sempre.

Che palle.

5/10

Angel

Elizabeth Taylor

Neri Pozza, € 16.50

P.S.: questo libro fa parte della lista scelta per la “Book to movie challenge”. Clicca.

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A metà tra un saggio e un romanzo autobiografico, l’autore ripercorre gli anni a cavallo tra il Settanta e l’Ottanta quando il fenomeno punk arrivò in Italia e lui, poco più che adolescente, ne prese parte attivamente.

Marco Philopat cerca di spiegare cosa c’era oltre alle creste di capelli decolorati, alle borchie, ai poghi forsennati e allo stile di vita dissoluto; elementi superficiali che non bastavano a far comprendere, per chi li osservava al di fuori, le vere ragioni e gli ideali culturali-politico-sociali che spingevano i giovani di allora a lasciarsi alle spalle, anche ad un’età davvero troppo giovane (quattordici, quindici anni), i genitori, la scuola, il lavoro e a vivere in comune portando avanti teorie e principi radicali e anche un po’ utopistici.

Lo stesso Philopat, nei primi mesi della sua adesione al punk, sembra ammettere fra le righe che da quindicenne era solo attirato dall’aspetto esteriore del fenomeno; col passare del tempo, crescendo con gente che già da tempo seguiva quello stile di vita, comprende però appieno cosa vuol dire “essere punk” e la sua militanza diviene sempre più partecipe e consapevole, fino a diventare uno dei membri fondatori di tante iniziative della scena milanese.

Il romanzo segue, di conseguenza, anche l’evolversi dallo spaccato musicale punk, ma si dovrebbe specificare che il libro ripercorre quasi esclusivamente la cornice milanese, essendo l’autore nato e cresciuto a Milano, con brevi incursioni sullo scenario di qualche città italiana che in quel periodo stava assistendo alla stessa diffusione.

Davvero interessante è quindi (ri)scoprire i gruppi musicali più importanti che spopolavano a Milano, e che con i loro testi erano estremamente collegati all’attivismo dei collettivi punk, essendone in tutto e per tutto un’estensione.

Peccato che negli ultimi due capitoli la narrazione diventi molto vicina a un elenco sintetico degli avvenimenti della vita di Philopat e dei compagni fino allo sgombero della casa occupata in via Correggio a Milano, centro di tutto il movimento fino al maggio 1984. Resta comunque una parte conclusiva interessante e divertente per i suoi sprazzi di ironia presenti in tutto il testo, ma comunque troppo frammentaria.

Da segnalare il bizzarro e innovativo (bizzarro per noi che negli anni ’80 eravamo ancora troppo piccoli...) metodo di scrittura, spiegato così dallo stesso Philopat: “(...) nella narrazione infatti non vi sono né punti né virgole, come avviene naturalmente nelle conversazioni, un flusso di coscienza spezzettato simile al balbettio di un oratore concitato. (...) Non esistono segni grafici, solo ritmo, pause e intonazioni, spetta a chi ascolta il compito di interpretarle. Un modo, mi auguravo, per dare più importanza alle parole, dove il sangue poteva finalmente scorrere fra le righe.

Aggiungo io poi che questo stile di scrittura era uno dei metodi più utilizzati nelle punkzine dell’epoca [riviste di diffusione culturale punk].

Consigliato a chi vuole approfondire l’argomento, perché magari pensa che i punk sono quelli che ieri pomeriggio a visto in fiera di Sinigallia a Milano... niente di più sbagliato: quelli sono solo una penosa emulazione.

8/10

Costretti a sanguinare. Il romanzo del punk italiano 1977-1984

Marco Philopat

Einaudi stile libero, Einaudi, € 13.50

E tanto per non dimenticarcela: Jo Squillo [che ha sempre frequentato la casa di via Correggio] con “Violentami” nel programma “Azzurro” del 1983.

Potrebbe provocare grasse risate il testo e sfottimento a iosa il modo in cui lei canta (tra l'altro in play-back), ma c’è da precisare che il testo è come non mai attuale, dato che quegli anni avevano visto un aumento spropositato di violenze sulle donne nei mezzi pubblici... poi se lei canta un po’ male e la musica di base ricorda vagamente "Blitzkrieg Bop" dei Ramones, non importa, è il concetto che conta.

Peccato poi Jo Squillo sia finita a fare la show-girl in minigonna...



lunedì 5 novembre 2007

Lucca Comics - 3/11/2007

H7:00 - con gli occhi cisposi siamo già in viaggio da un po’.

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[campagna nella nebbia]

h 8:30 - in tangenziale verso il casello autostradale.

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[il sole sorge...]

Il viaggio prosegue tranquillo con dei lunghi tratti di autostrada deserti: il nulla davanti, il nulla dietro, ma con la bellissima vista delle colline toscane ricoperte d’alberi con le foglie dai classici colori autunnali.

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[una torretta diroccata vista dall’autostrada]

h 10:30 - siamo a Lucca! L’interminabile fila al casello d’uscita già ci fa prevedere la fiumana di gente che avremmo trovato alla fiera e, soprattutto, gli sbattimenti che ci saremmo dovuti sorbire per trovare un buco libero per parcheggiare la macchina.

MA accortici che tutto il traffico si dirigeva seguendo i cartelli della fiera, pensiamo sia meglio arrangiarci a modo nostro e cercare un posteggio dalla parte opposta delle segnalazioni: tempo cinque minuti e - taaaac! - macchina parcheggiata perfettamente, stiamo già zampettando verso il centro storico seguendo le indicazioni di una vecchietta.

La fiera - non so gli altri anni com’era dislocata - quest’anno era divisa in undici padiglioni sistemati in tutto il centro di Lucca, per cui insieme al biglietto ci è stato consegnato un braccialetto giallo da mostrare all’entrata di ogni padiglione (ché da solo il biglietto non valeva!).

Visitiamo per prima cosa il padiglione n. 10 dove abbiamo acquistato i biglietti, talmente strapieno di gente e puzze da far mancare l’aria. Avvistiamo lo stand del disegnatore Ciruelo e quello di una coppia inglese che dipinge soggetti fiabeschi e mitologici - Wendy e Brian Froud, ma la ressa e troppa (e pure le puzze) così attraversiamo di corsa, o meglio, a passo di lumaca tutto il padiglione verso l’uscita decidendo di ritornarci più tardi quando tutti, si presume, stiano mangiando.

Nei padiglioni era impossibile fare foto di qualsiasi tipo: spallate, culate, spintoni e maciullamenti tipo scatola di sardine. Era già tanto avvicinarsi ai banchetti degli stand sempre sgomitando.

Quindi i cosplay visti nei padiglioni non ho potuto immortalarli. Merita menzione, tra quelli visti lì dentro, quello bellissimo di Ren e Nana Osaki: erano identici!!! Con tanto di custodie per chitarre in spalla, chiodo nero e catene.

Abbiamo visto però Luca Enoch, Licia Troisi, Gipi, Toffolo, Vanna Vinci, i già citati Ciruelo e Froud, alcuni disegnatori della Bonelli a noi sconosciuti, più altri che ora non ricordo...

Percorrendo le viuzze tra un padiglione e l’altro, ecco i cosplay più belli:

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[Thrall]

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[Spade lucenti, cavalli al galoppo...]

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[Maria Antonietta!]

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[rievocazione di Star Wars - 1]

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[rievocazione di Star Wars - 2]

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[rievocazione di Star Wars - 3]

Bilancio delle ricerche manghesche/fumettare fatte:

- “Blankets” di Craig Thompson [mia sorella ha l’edizione ridotta edita da La Repubblica, abbiamo così deciso che era il caso di avere quella “vera”...]: è in corso di ristampa, uscirà per dicembre.

- “Monsieur Jean - Felici, anche se non sembra” n. 2 di Berberian e Dupuy [ho il primo e il terzo volume, mi mancava questo]: introvabile. E che chezz...

- “Lady Oscar” di Riyoko Ikeda n. 2-5-7-13-16: E-S-A-U-R-I-T-I. E adesso come faccio a terminare la serie??????

- “Quando non c’era la televisione” di Yvann Pommaux: sapevo che costava più di 20 €, ma visto dal vivo il libro non ne vale poi così tanti.

- “Mayme Angel” n. 1 di Yumiko Igarashi [il fumettaro da cui mi rifornisco non è mai riuscito a trovarlo]: preso!!! Anziché 6 €, allo stand della Star Comics me l’hanno lasciato a 5.

- “Il volo del corvo” n. 1-2 di Gibrat: l’editore non partecipava alla fiera... -__-'

Come avete letto, le ricerche sono state praticamente inutili :-/ a parte l’aver trovato il primo numero di “Mayme Angel”.

Volevo prendere il primo numero di una serie che non conoscevo e che avevo visto allo stand dell’editore di “Elizabeth” di Riyoko Ikeda e Erika Miyamoto: “Casino” illustrato da Leone Frollo - dieci numeri tutt’ora in corso di pubblicazione al prezzo di copertina di 9.50 €. E siccome erano un po’ cari, a costo di fare la figura della taccagna, confesso che non ho preso nemmeno il primo numero (grazie Luca! >:-/)...

I giri per i padiglioni sono stati un tuor de force, alle 15:30 avendo esaurito tutti gli stand da visitare - compresi quelli di gadget e cazzatine varie - abbiamo deciso di gironzolare per la città, che ci è piaciuta così tanto che sicuramente ci torneremo per visitarla con più calma.

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[un micio]

Verso le 17:00 siamo ritornati verso il primo padiglione in cui c’erano Ciruelo e i Froud. Io ho acquistato una stampa di un’illustrazione di Brian Froud (preferisco i suoi disegni, a quelli della moglie Wendy) e ho chiesto - cioè, ha parlato il mio moroso in inglese per me, io mi vergognavo :-P - se potevo farmelo autografare; Luca invece è tornato a casa tutto esaltato con un drago a matita di Ciruelo che glielo ha disegnato sul momento, mentre io con una piccola stampa di un drago nero (con autografo, eh!).

Dopodiché abbiamo deciso di avviarci verso casa.

Visitare la fiera è stato divertente - d’altronde la ressa era normale che ci fosse - così come vedere le vie piene dei cosplay più disparati (c’era anche uno vestito da puffo, penoso... con la tutina di flanella bianca piena di pelucchi... non l’ho fotografato per principio). Peccato il non aver praticamente trovato nulla dei fumetti e dei manga che cercavo, e di non essere riuscita a scattare tutte le foto che mi ero ripromessa di fare, però nel momento in cui mi son vista portare via, schiacciato tra la folla, il braccio con in mano la macchina fotografica (di Luca, poi!), mi sono spaventata abbastanza per decidere di metterla via senza rischiare un’altra volta di romperla. ^^'

P.S.: Arianna, non disperare, ci sarà anche l’anno prossimo la fiera!

P.P.S.: ieri ho compiuto 26 anni. Tristessssa...