martedì 30 gennaio 2007

Mostre: "Amore e psiche. Arte e seduzione", "Tamara de Lempicka" e "Buzzati racconta - storie disegnate e dipinte"

“Amore e psiche. Arte e seduzione – da Renoir e Chagall, a Picasso e Warhol”
Villa Ponti, Arona (No)
dal 17 dicembre 2006 al 25 febbraio 2007

Un’indagine sull’amore e sulle modalità di rappresentare questo sentimento segna questa abbondante esposizione, non troppo didascalica, ma lasciata un po’ “al caso”, al trasporto emotivo che i quadri esposti trasmettono nel visitatore, che può così sperimentare direttamente quale differenza ci sia tra una visione più celebrale e una maggiormente corporea e concreta della passione provata verso l’oggetto del desiderio.
L’oggetto in questione è la donna, rappresentata nelle più svariate forme che spaziano da quelle più classiche fino a quelle di stampo cubista o contemporaneo che farebbero inorridire le femministe più ferree (a simbolo: un bel paio di baffi a guisa di peli pubici, o un corpo in plastica totalmente stravolto in cui la vagina finisce per essere in cima alla testa visibile a tutti – mi è venuto in mente il carissimo Helmut Newton).
Diversi modi di concepire e trasformare in arte il sentimento umano più complesso, che rimane però immutato nella sua essenza.
Pochi, come già detto, i pannelli esplicativi e ad accompagnamento dei quadri e delle sculture, e quelli che ci sono non sono altro che dei brevi riassunti biografici che mettono grottescamente in evidenza come la sfiga abbia costellato in gran parte la vita degli artisti in mostra (suicidio/pazzia batte morte naturale 20 a 5). Si segue la scia dei sensi nei corridoi e nelle sale della villa e si esce con le idee ancora più confuse sulla parola “amore”.

P. S.: fra i numerosi dipinti ve n’è uno, minuscolo, di Tamara de Lempicka: “La bella Rafaëla”.


(mostra visitata il 31/12/2006)

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“Tamara de Lempicka”
Palazzo Reale, Milano
prorogata fino al 18 febbraio 2007

Mi aspettavo qualcosa di più soddisfacente da questa mostra, tenendo anche conto che in Italia è dagli anni ’50 che di questa pittrice non si sono più organizzate esposizioni monografiche.
Tante le cose che mi sono andate di traverso, a cominciare dal libero accesso ai dipinti: né un vetro alle cornici, né una transenna a limitare la vicinanza dei visitatori [non è pericoloso per l’incolumità di tutti quegli originali?]; le sale, causa enorme affluenza di gente (che gli organizzatori se lo potevano aspettare) e pareti ad angolo che spuntavano dal nulla e messe lì in modo poco ordinato, in alcuni punti erano davvero strette e si finiva a stare a mezzo metro dalla tela; le targhette dei quadri erano scritte a passo 2 e illuminate con lampadine da 1 volt; inoltre, capisco il voler approfondire le tematiche e i pittori a cui la Lempicka si è ispirata per le sue opere, ma dedicare un’intera sala ai vari di cui sopra, credo abbia tolto un po’ di… fervore emotivo alla mostra, che dal suo scoppiettante inizio è andata poi scemando in una serie di ultimi quadri di ispirazione cattolico-moraleggiante e nature – davvero – morte di una Tamara ormai fiacca e segnata dalla depressione.
All’inizio invece si può ammirare la Lempicka famosa per la sua attenzione ai particolari ritenuti trascurabili, quella degli anni Venti-Trenta, dove ogni elemento presente nella composizione serve a dare il giusto equilibrio all’intera opera: un ricciolo metallico, le labbra rosse, le unghie smaltate, i gioielli – quasi ogni soggetto ha al dito almeno un anello, le pieghe del vestito attaccato al corpo come una seconda pelle, scorci di paesaggi spettrali alle spalle degli uomini e delle donne ritratti che rimandano a una metropoli desolata in cui svettano mastodontici palazzi alla “Metropolis” di Fritz Lang e cieli plumbei, ma che visti nella loro totalità non sono nulla in confronto al corpo del o della protagonista che occupa quasi tutto lo spazio disponibile della tela talvolta a grandezza naturale, i nudi tanto voluttuosi e carnali nonostante tracciati con linee vicine al tubismo di Léger; elementi che nell’insieme compongono un’artista che ha saputo creare un suo stile ben riconoscibile e capace di segnare un’epoca non solo in modo artistico ma anche come modello di vita, riuscendo a conquistare l’intera Europa con la sua classe e la sua eccentricità.
Ma come detto in precedenza l’ultima parte della mostra, dedicata ai dipinti tra gli anni ’40-’50, non offre molto coinvolgimento visivo, forse anche per l’impressione di vedere dei quadri fatti in serie e senza verve.
Mancano anche i nudi più famosi come “Adamo ed Eva” o “Gruppo di quattro nudi”, e il bellissimo “Autoportrait” dove la stessa Lempicka in verde sfreccia sulla sua auto dello stesso colore (quest’ultimo perché purtroppo non concesso dai proprietari alla mostra).
Piccole mancanze e dettagli trascurati che fanno però la differenza…
Tuttavia non mancano filmati d’epoca, fotografie, disegni a matita, lettere autografe e oggetti personali originali che ampliano la visione dell’artista e che fanno tutt’uno con i dipinti esposti, mostrandola in tutto il suo fascino non ancora scemato.
Della parte dedicata ai pittori e artisti contemporanei a Tamara, mi ha solo sorpreso positivamente il trovare il dipinto “Donna alla finestra” di Antonio Donghi, ingiustamente sottovalutato dalla massa, le cui opere si possono però ritrovare nel film “L’amore ritrovato” di Mazzacurati sottoforma di tableau-vivant, e una lunga serie di fotografie di Jacques-Henri Lartigue come testimonianza storica e di costume del periodo più prolifico della Lempicka, appunto gli anni Venti e Trenta.

Curiosità: i biglietti d’ingresso sono consegnati (a caso, o forse in base al giorno della visita) in più esemplari, a me è capitato quello che vedete sopra il titolo col particolare di “Jeune fille en vert”.

(mostra visitata il 13/01/2007)

[All’uscita dalla mostra…] clicca!

“Buzzati racconta – storie disegnate e dipinte”
Rotonda di via Besana, Milano
prorogata fino all’11 febbraio 2007

“Il fatto è questo: io mi trovo vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa e le mie pittore quindi non le “può” prendere sul serio. La pittura per me non è un hobby, ma il mestiere; hobby per me è scrivere. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie. (Dino Buzzati, 1967)”

Per chi conosce poco o per nulla il Dino Buzzati disegnatore e pittore (quindi me compresa), la mostra allestita alla Rotonda di Via Besana a Milano riesce a dare un affresco completo del lato conosciuto da pochi di questo artista ritenuto dalla maggior parte solamente uno scrittore-giornalista.
Maggiore rilievo hanno nella mostra l’opera “Poema a fumetti” (rivisitazione in chiave fumettistica del mito di Orfeo ed Euridice) e la serie di dipinti (finti ex-voto) “I miracoli di Val Morel”; oltre ci sono numerosi schizzi preparatori per diverse opere compreso “Poema a fumetti”, pagine originali di diari, dipinti, fotografie, oggetti personali (tubetti di tempera spremuti a metà, pennelli ancora sporchi di vernice), tavole originali tratte dal romanzo per ragazzi “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” (che avevo letto come compito alle medie e ne ero rimasta entusiasta), figurini per i costumi del balletto teatrale “Fantasmi al Grand Hotel” del 1960 e il famosissimo elogio alla città di Milano e al suo paese d’origine sotto le Dolomiti fusi insieme in un Duomo trasfigurato a montagna con guglie appuntite alla cui base, su un’erbetta verde, contadini stanno al lavoro con falci e balle di fieno.
Dipinti poetici, bizzarri e accomunati dal surreale, dagli incubi, il terrore, l’inquietudine, donne discinte con tacchi a spillo vagamente sadomaso, bocche lascive, vampire assatanate e fantasmi della notte, illusioni ottiche e comicità arguta ed intelligente racchiusa nelle didascalie che lo stesso Buzzati scriveva appositamente per i quadri e che, una volte lette, danno sempre uno scarto spiazzante sul significato iniziale delle opere e che ti lasciano a volte divertito e a volte piacevolmente interdetto.
Una bella mostra che, a mio parere, toglie anche un po’ di pregiudizi sul mondo del fumetto, difeso da Buzzati stesso che lo definiva, se fatto bene, un buon mezzo per diffondere cultura e arte; ma la mostra serve soprattutto a rivalutare il lato nascosto ma fondamentale dello stesso artista.

(mostra visitata il 27/01/2007)

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