domenica 16 settembre 2007

Tre libri - due manga

Sparatevi questo post tutto di fila che già qualcuno ;-P nei commenti precedenti si è lamentato del mio silenzio.

Ma è che questa settimana è stata scombussolata dall’arrivo di un paio di nuovi membri in famiglia... ^^

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Chiedi alla polvere

John Fante

Einaudi - Stile libero, Einaudi, 9.50 €

La storia è semplice: lui è un sognatore e cerca di sfondare nel campo dell’editoria con i suoi racconti, lei fa la cameriera e gli serve un caffè. Che è rancido.

Non possono innamorarsi come nelle tradizionali storie d’amore, c’è da subito qualcosa di sbagliato nel loro rapporto. Di malato, di violento, di incompiuto, di impossibile.

Lui si consumerà all’infinito per lei che, scostante, bizzarra e a volte cinicamente affettuosa, non gli cederà mai completamente.

Una vicenda così sofferta e complicata potrebbe risultare indigesta, eppure “Chiedi alla polvere” è un romanzo bellissimo.

Arturo si innamora quasi per gioco di Camilla, perché è solo in una nuova città e da mesi non riesce a scrivere qualcosa di decente. E’ depresso e sul lastrico, e quella ragazza strana che serve ai tavoli in maniera noncurante attira la sua attenzione.

Camilla accetta Arturo ma solo per dimenticare un altro uomo, uno viscido e schifoso, che si comporta malamente con Camilla come lei fa con Arturo.

Camilla e Arturo: una spirale di sentimenti deleteri e comportamenti ossessivi. Che però è nella sua disarmonia molto più vicino alla realtà di qualsiasi altra storia di crescita e di amore.

Fante descrive il tutto dal punto di vista del protagonista maschile, che non smette un solo momento di vedere e analizzare ciò che gli accade in maniera pungente e ironica, tanto da strappare anche qualche sorriso; anche quando si lascia prendere dalla disperazione Arturo ne esce come un personaggio determinato, cocciuto e a volte cattivo, ma anche terribilmente indeciso.

“O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.” (capitolo 1, pag. 1).

Un personaggio alla ricerca di un proprio posto nel mondo, che fa le sue esperienze, cerca l’amore e il successo, affamato com’è di vita. Trova tutto per metà e rimane con l’amaro in bocca.

Ma se avesse ottenuto dal mondo e dalla vita tutti i desideri non sarebbe stato Arturo Bandini e, soprattutto, non sarebbe stato un libro di John Fante.

9/10

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Il giardino dei Finzi-Contini

Giorgio Bassani

Classici moderni, Mondadori, 8 €

Come “In nome dei miei” di qualche recensione fa, anche questo libro mi era stato prestato dalla stessa amica di tanti anni fa.

Del libro non ne avevo un bel ricordo. Pensando che fosse dipeso solamente dall’età troppo giovane con la quale mi ero avvicinata al romanzo, speravo ora che il giudizio negativo si sarebbe ribaltato in una lettura piacevole, trattandosi dopotutto della cronaca di un amore giovanile.

Purtroppo la storia è di nuovo risultata lenta, tristemente introspettiva e minata da lunghe digressioni - soprattutto nei primi capitoli - che, pur dando un più specifico quadro generale del mondo del protagonista e degli amici, si staccano troppo dal filo del discorso costringendo a volte la narrazione a dei bruschi ritorni “in tema” un po’ spiazzanti.

La storia d’amore narrata poi si basa esclusivamente sulle congetture del protagonista-narratore, rimanendo in ogni caso un sentimento platonico mai ricambiato dalla figura femminile - Micòl. Il lettore viene così costretto ancora una volta a seguire i sogni e le divagazioni, a volte patetiche e deprimenti, della voce narrante che spaziano addirittura fino all’immaginare una vita insieme. Ma a che scopo?

Ne esce, questo sì, un personaggio femminile superiore, ma ho l’impressione che Bassani si limiti soltanto a guardare alla vita da fuori, a immaginarla e continuamente sognarla - non a viverla davvero.

Lo stesso giardino del titolo serve a tutti i personaggi come luogo di isolamento da quello che nel mondo negli anni tra il Trenta e il Quaranta stava accadendo: le leggi razziali, la deportazione, la guerra [diversi personaggi sono infatti ebrei].

Un po’ come la villa occupata dai protagonisti de Il Decamerone di Boccaccio in fuga dall’epidemia, anche quelli di Bassani si rinchiudono al di là delle mura del giardino per non vedere quello che sta accadendo fuori.

Ma la vita va affrontata di petto, e quando i ragazzi saranno costretti ad abbandonare la sicurezza del giardino ormai sarà tardi per abituarsi alla dura realtà, e quello che aspetta tutti loro sarà solo l’arruolamento nell’esercito, la morte o la solitudine.

7/10

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Il velo dipinto

W. Somerset Maugham

Biblioteca Adelphi, Adelphi, 18 €

Quando qualche mese fa uscì il film tratto da questo romanzo pensai subito, vedendo il trailer, al solito filmone epicamente romantico, e che il libro non fosse da meno. Poi ho visto quel “dal romanzo di W. Somerset Maugham”, e sono andata subito in cerca del libro.

Che in sostanza è: giovane ragazza degli anni Venti [il romanzo è del 1925], succube come la sorella e il padre della madre tiranna e acida, nel panico sposa il primo uomo che le capita a tiro - un asettico e marmoreo batteriologo - per salvarsi la reputazione agli occhi materni.

I due sposi dall’Inghilterra volano ad Hong Kong dove lei, diventata la tipica mogliettina insoddisfatta, cede al fascino di un ammaliante e manipolatore dipendente governativo.

Già così si può capire come Maugham, famoso per il suo pessimismo e il lato cinico con cui guarda ai vizi degli uomini, soprattutto quelli delle donne che condanna senza mezzi termini, non lesini a mostrare tutti i - a suo dire - doppi lati femminili, salvo poi, proprio in questo romanzo, lasciare che la parola speranza sia associata ad uno di quei personaggi - la protagonista Kitty - dopo averne elencato e minuziosamente esaminato tutti i comportamenti che definire “libertini” è per lui troppo poco.

Kitty infatti ci viene subito presentata in atteggiamenti poco adeguati, abbandonata tra le braccia dell’amante Charlie mentre qualcuno li sta spiando; non ti potresti certo innamorare empaticamente di un personaggio così superficiale ed egoista, ma con lo scorrere delle pagine accetti le sue decisioni e il suo doppio gioco ai danni del marito, sempre più rabbuiato e depresso, perché è pari a un modo per riscattarsi dalla presenza materna che, anche con così enorme distanza di luoghi, opprime anche in Cina la vita di Kitty.

La narrazione si fa però ancora più interessante nel momento in cui Kitty è costretta a partire con il marito Walter Fane per un piccolo villaggio della campagna cinese in cui imperversa un’epidemia di colera.

Il terrore del contagio, l’ambientazione esotica che da quel momento entra in maniera vivida a far parte della narrazione - della Cina fino a quel momento si è accennato poco, solamente che il clima è umido e che i cinesi che lavorano in casa Fane sono brutti, svogliati e tonti - il rapporto teso e problematico tra Walter e Kitty, la continua messa in discussione della vita di quest’ultima sempre sola nella squallida casetta circondata dall’epidemia, l’entrata in scena di un paio di personaggi davvero ben tratteggiati caratterialmente (vedi la Madre Superiora e il collaboratore di Walter), ma soprattutto la figura di Walter Fane che si comincia a delineare maggiormente seguendo i pensieri della moglie, movimentano il racconto tingendolo quasi d’avventura.

Il personaggio di Walter è poi secondo me l’oggetto narrativo di spicco dell’intero romanzo: non appare quasi mai in scena, ma la sua scomoda figura - così cupa e depressa - è comunque e costantemente tra le righe della narrazione.

Kitty lo compatisce e non lo ama. Le fa pena quell’uomo dedito al lavoro e così sterile di sentimenti, apatico.

Eppure Walter è in realtà così diabolico, cattivo e cinico, da far scomparire l’indifferenza con cui l’amante di Kitty apprende la partenza della ragazza verso una zona in cui potrebbe contrarre il virus e morire.

La personalità di Kitty non è quindi la sola ad agire in maniera duplice: Walter agli occhi delle suore del convento che lui assiste e al cospetto del collaboratore, è un uomo buono, affettuoso, ma fra le mura domestiche si rivela malvagio e sprezzante.

Eppure è un personaggio che mi affascina, sarà perché lo si conosce solo attraverso le parole di chi gli sta attorno, e restando quasi sempre dietro le quinte lo si carica di maggiore interesse seduttivo. Alla maniera dei film di Hitchcock quando il “cattivo” è un uomo.

Tuttavia la storia finisce seguendo le decisioni di Kitty, l’unica che resterà presente nelle pagine fino all’ultimo rigo e alla quale è affidato un messaggio non più funesto ma di proseguimento dell’esistenza.

Comunque, tra tutti, continuo a preferire Walter Fane, così maledetto a cui tocca una fine quasi eroica, e fino all’ultimo detentore del detto “nessuna pietà”.

9/10

P.S.: questo romanzo fa parte dei sei libri che ho scelto per “La sfida dei libri non letti”. Clicca per saperne di più.

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“Emma” n. 5: cosa potrebbe accadere a Emma e William se riuscissero a sposarsi in santa pace? Kaoru Mori ce lo spiega facendoci assistere a un lungo flash-back in cui si susseguono le tappe percorse dai genitori di William fino alla loro separazione per salvare la “facciata” in società. Ipocrisia, cattiveria e maldicenza sono i fattori che hanno causato maggiormente la decisione definitiva dei due; così Aurelia e Richard, seppur distanti sentimentalmente, temono entrambi che possa succedere lo stesso se sarà Emma, e non Eleanor (intanto sempre più depressa e trascurata dal fidanzato), a diventare la moglie di William.

[Un appunto alla pagina che di questa prima parte del volume mi ha molto colpito: la prima del capitolo 31, con Aurelia e Richard che si incrociano su un sentiero in mezzo al bosco, lui a cavallo e lei con il classico ombrellino parasole tutto pizzi e volant. Un fermo immagine così romantico...!]

Intanto viene completamente omessa la parte successiva al risveglio di Emma nella casa del ricevimento a cui la sera prima aveva partecipato come accompagnatrice. Così rimarremo per sempre nel dubbio di che cosa hanno fatto, William ed Emma, prima del ritorno di quest’ultima a casa dei coniugi tedeschi.

Qualcosa sarà successo, tanto che si nota chiaramente il punto di rottura tra la vecchia Emma - delicata, silenziosa, mite - e quella nuova nel momento in cui si guarda allo specchio dopo essersi cambiata d’abito per iniziare il turno di lavoro durante una delle belle e solite [solite non è in senso negativo] sequenze mute. Emma si fissa allo specchio e poi si volta di scatto verso noi lettori. Il tutto è racchiuso in questo veloce passaggio.

Da quel momento Emma con i colleghi di lavoro appare più loquace e quel figone di Hans *sbaaav* la aggredisce facendole notare che odia le persone che “nascondono qualcosa” vedendola talmente cambiata in così poco tempo. Lei per tutta risposta gli chiede, e SI chiede, “Davvero...? Sono cambiata...?”, pensando forse che un rivolgimento psicologico così bizzarro fosse normale. Normale per lei, ma Mori... per noi lettori no! Spero farai qualche paginetta extra sull’episodio taciuto accaduto a Londra fra i due protagonisti...

Se a vita nuova corrispondono nuovi modi di vivere e comportarsi, Emma lo dimostra accettando un tenero ma piuttosto banale scambio epistolare con William. I due, separati da svariati chilometri, si tengono in contatto e approfondiscono la reciproca conoscenza attraverso delle lettere i cui argomenti però non vanno oltre il “signorina mi manca - anche lei mi manca”, perché quasi subito si approda, con una sequenza assolutamente perfetta dall’atmosfera al taglio delle inquadrature, alla decisione di un incontro. Immediato.

Emma letteralmente VOLA fra le braccia di uno spaesato William di fronte a tutta la cricca che lavora con lei e ai datori di lavoro.

Che??? Ho visto bene?!?

Ho dovuto rileggere l’intero volume per una seconda volta perché avevo paura di essermi persa qualche passaggio importante. E invece NO. Emma è davvero cambiata. E’ INNAMORATA. Così tanto che se ne frega di tutto il resto. Però la Mori, che ha tagliato e incollato a suo piacimento *perrrfida* la storia, anche in questo caso mi ha lasciata basita.

Non siamo mica abituati a questi cambiamenti narrativi, prima ci veniva raccontato tutto, tuttalpiù attraverso successivi flash-back, ma ormai gli argomenti narrati portano verso nuove cose e non credo che la Mori ci ritorni su, sarebbe uno spreco di tempo anche perché un nuovo personaggio è entrato in scena: il padre di Eleanor che dispensa mazzate a destra e a manca, molla la mantenuta in carica e quasi sputa in un occhio al padre di William durante la cena ufficiale per decidere del fidanzamento dei rispettivi figli.

Dai, dai, quand’è che esce il n. 6? Muovetevi!

[Cecilia, te l’ho fatto penare questo commento, eh? :-P]

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“Blood Alone” n. 3: con orrore noto che questo numero pullula di ammmore e cuoricini sospiranti.

Di vampiri, sette segrete, pistole e spiriti vaganti non c’è traccia mentre Misaki pensa che scambiarsi di bocca il beccuccio per gonfiare il salvagente con Kuroe è un po’ come “baciarsi indirettamente”.

Poi c’è l’amica poliziotta di Kuroe che soprapensiero cade dal divano, e *rotol rotol* rotola sul pavimento pensando a lui.

Poi ancora, spunta un vestito su cui è appuntato il biglietto “Vestito che ho indossato per il primo appuntamento con Korue” con relativa tragedia per l’accidentale perdita del suddetto.

Cazzarola, pensavo che i tempi di “Piccoli problemi di cuore” fossero passati da un pezzo.

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