venerdì 12 dicembre 2008

Ciak 1

In ritardo siderale arrivano le recensioni dei film visti dalla scorsa primavera.

Ai confini del paradiso (Yasmin kiyisinda)

Fatih Akin

Germania, 2007

Avevo già apprezzato Fatih Akin nel 2005 quando vidi “La sposa turca” al cineforum, quell’anno fu lui il film più bello, e quando la scorsa primavera è stato proposto in cartellone il nuovo film del regista non ho avuto dubbi sull’andarlo a vedere.

Ancora una volta protagonisti sono i turchi di nuova generazione nati, o cresciuti poi, in Germania a metà strada tra la cultura europea e quella tradizionale del loro paese d’origine.

Se ne “La sposa turca” si denunciavano le usanze turche ormai troppo obsolete in fatto di matrimonio e inesistente emancipazione femminile, in questo film invece trova posto quella parte di società turca composta dai giovani dalle idee antigovernative bollati immancabilmente di terrorismo, e la storia di una ragazza così accusata si intreccia a diverse altre in un dedalo di casualità forse a volte un po’ forzate che portano i vari protagonisti a spostarsi alternativamente tra la Germania e la Turchia in cerca di libertà, di sé stessi o di una nuova vita.

Diviso in tre parti il film non annoia soprattutto per le astruse sinapsi da scoprire pian piano tra le varie vicende; inoltre il rapporto tra Turchia e Germania non è il solo argomento trattato: si parla anche di amore, di omosessualità e del vincolo tra genitori e figli.

Bellissima sceneggiatura ma io continuo a preferire “La sposa turca”, una storia d’amore in cui tutti i sentimenti sono portati all’eccesso e dove anche un semplice bacio ti può dare l’impressione di un pugno nello stomaco.

7½/10

Signorinaeffe

Wilma Labate

Italia, 2007

Protagonista indiscussa di tutto il film è la Fiat a cui fa da sfondo la breve e centrifugata (nel senso che è una roba velocissima di una botta e via) relazione tra l’operaio Sergio e l’impiegata Emma nel lontano 1980.

O forse è il contrario? ed è la Fiat a fare da sfondo un po’ impegnato ai due protagonisti per via del riferimento alle lotte sindacali del 1980? Boh. Vabeh.

Per tutto il film c’è di base il detto che “il mondo è piccolo” e che alla Fiat, almeno all’epoca, valeva la regola del “pacco famiglia”: una volta assunto il capofamiglia, va da sé che TUTTA la progenie di quel nucleo famigliare avrebbe lavorato prima o poi in Fiat. E’ il caso di Emma e di tanti personaggi che appaiono nel film.

Per quanto riguarda il primo proverbio invece sembra che in Piemonte nel 1980 esistesse solo la Fiat e che Torino fosse un buco di provincia di appena 200 abitanti: lì si conosco tutti, tutti lavorano in Fiat, ed è così che Emma e Sergio si rivedono per caso dopo essersi incrociati nello stabilimento.

Ragionandoci su però il tutto sarebbe plausibile se letto in chiave di alienamento, vita breve e senza troppe distrazioni: tutti gli operai finiscono per condurre una vita casa-lavoro ed è normale che ci si incontri anche al di fuori della fabbrica negli spazi ristretti di svago. Può essere che sia così ma vorrei sentire le vostre opinioni in merito qualora aveste visto il film.

Comunque, Sergio ed Emma sono i protagonisti del film e la loro brevissima storia d’amore inizia e finisce nell’arco di 35 giorni: quelli che servirono in effetti ai sindacati per trovare un accordo con i dirigenti della Fiat che decisero per un riordino aziendale.

Per spiegare meglio cosa stava succedendo in quel periodo vengono in aiuto anche filmati originali che si intercalano alle vicende dei due, ma quello che non ho capito è se la regista ha voluto fare un documentario sulle agitazioni in Fiat o un film d’amore su due che tanto non si potranno amare perché fanno parte di due ceti sociali diversi – lei già proiettata verso un roseo futuro da laureata, lui che resterà invece in eterno in catena di montaggio pur avendo velleità da sindacalista-megafono – nel dubbio sul vero significato di questo film la certezza che rimane è che Filippo Timi (Sergio) è un figo della madonna e che ogni volta che parlava con quella voce roca lì, io svenivo sulle poltroncine del cinema.

6½/10

Un bacio romantico (My blueberry nights)

Wong Kar Wai

Francia, 2007

Lei (la cantante Norah Jones) viene mollata dal fidanzato e comincia a rompere le palle al gestore di una tavola calda (un improbabile Jude Law) con le sofferenze della sua anima. Poi decide di partire e di cercare sé stessa (un classico...) sulle strade d’America, quindi fa le valigie e inizia un peregrinare continuo mentre il barman la cerca e riceve da lei solo cartoline senza il mittente.

Lento, con dialoghi minimalisti, con inquadrature fastidiosissime tutte a mezzo busto o in primo piano, con personaggi da periferia malfamata – lo psicopatico alcolista, la donna sola, la giocatrice d’azzardo – con una colonna sonora quasi inesistente se non fosse per il bel brano di Cat Power “The greatest” con quell’aria moscia da piano bar ma che va bene lo stesso, in definitiva una noia assoluta durante la cui durata totale sono entrata in catalessi.

E’ il primo film di Wong Kar Wai che vedo e già l’ho bocciato.

4/10

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