Sognavo l’Africa
Kuki
Gallmann
Mondadori,
12 €
La
scrittrice Kuki Gallmann è diventata famosa anni fa per i suoi libri che
raccontano l’Africa e in particolare il Kenya, paese che è diventato la sua
casa dopo che vi si trasferì dall’Italia con il secondo marito e i figli di entrambi.
Non
mi aspettavo però da “Sognavo l’Africa” un racconto in cui al centro ci sono in
primis lei e poi i suoi famigliari, e da sfondo piuttosto lontano la vera
essenza dell’Africa che si respira invece pagina per pagina in romanzi come “La
mia Africa” di Karen Blixen. “Sognavo l’Africa” è infatti un’autobiografia in
cui la natura selvaggia, gli abitanti autoctoni e gli animali vengono visti con
un certo distacco: i kenioti sono i servi che ramazzano casa Gallmann, gli
animali che vivono allo stato brado sono lì per essere inseguiti, uccisi e
seviziati da quella orrenda pratica che è il Safari; il Kenya è un posto da
scoprire viaggiando su elicotteri privati e facendo visita ad amici lontani
dell’alta borghesia occidentale che vivono in ville con piscina e organizzano
party a cui partecipa solo l’elite blasonata (irraggiungibile per noi lavoratori
salariati a 40 ore settimanali).
Poi
però ci sono brani in cui ti commuovi, leggendo del rapporto che Kuki aveva con il figlio
adorato e del legame sentimentale, quasi soprannaturale, che aveva con il
marito, un amore fatto di rispetto e ascolto reciproco; e poi di come sia
riuscita a superare i tremendi lutti che hanno segnato la sua vita.
Non
è stata una brutta lettura, anche se mi aspettavo un racconto in cui ci fosse
effettivamente un rapporto stretto tra la vita e la natura e non invece una
quotidianità fatta di privilegi e poca reale comunione con la terra – nemmeno l’accenno
finale all’impegno messo dalla Gallmann a fondare una associazione a favore
della natura mi ha fatto cambiare idea.
6½/10
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